Apertura impianti, sci, Coronavirus
Un nuovo modello di economia montana
Si parla dell’apertura degli impianti da sci. Bhe, io degli impianti aprirei solo l’indotto.
Cabine ferme tutta la stagione mentre negozi, rifugi, bar e ristoranti potrebbero funzionare con tutte le regole e limitazioni che il caso e la cautela impongono.
Il risparmio economico in termini di contributi elargiti per l’innevamento artificiale sarebbe ingente e potrebbe essere redistribuito (ho fatto giusto una ricerca su Google inserendo due voci e aprendo i primi link dal sito di Regione Lombardia. Prendeteli con le pinze perchè non ho ulteriormente approfondito… Pronti? La dotazione finanziaria resa disponibile nel 2018, da bando di Regione Lombardia, è stata di 1.454.087 euro, sempre a fondo perduto e arrotondati per difetto nel biennio successivo a fronte di un investimento di spesa al 50% pari a oltre 10 milioni e 390 mila euro stanziati per costruzione di nuovi impianti e potenziamento delle strutture per l’innevamento artificiale… questi solo i bandi degli ultimi tre anni, in passato non sembra che le cifre si siano tanto discostate… comunque sono tutti lì da leggere…)
…il risparmio in termini ambientali sarebbe invece inestimabile.
Sull’investimento a lungo termine in termini di fruizione, cultura, società ed economia parliamone.
APEMilano incontra Mountain Wilderness e The Outdoor Manifesto
A chi ieri sera ha seguito la diretta di #apemilano con #mountainwilderness e #TheOutdoorManifesto non sarà sfuggito un intervento: dalle città nascono i cambiamenti.
Questo concetto è caro alla sociologia e ricorrente nella storia. Che che se ne voglia dire da quando esiste anche solo il modello di società odierna è nelle città che tutto si è sviluppato, cambiato, radicato.
Snocciolare qualche dato risulterà anche antipatico a qualcuno ma è realista ed aiuta a disegnare e comprendere una situazione.
In montagna abita una minima parte della popolazione. La città metropolitana di Milano da sola fa il 30% della popolazione lombarda (regione che conta un sesto della popolazione italiana).
Le province di Lecco, Varese, Sondrio, Bergamo e Brescia assieme fanno gli abitanti della città metropolitana. La provincia di Sondrio in totale fa il doppio degli abitanti di una delle grandi città dell’hinterland milanese, quella di Lecco il triplo), questi numeri mettono bene in luce come in modo diretto o indiretto l’economia montana, piaccia o no, si basa sulle città.
Ma cosa sta avvenendo in città? I tempi del cambiamento sono maturi?
Quello che ho visto questa estate sono state decine di migliaia di persone che dalle città si sono riversate nelle nostre montagne.
Certo con tutte le criticità che questo comporta, ma a mio parere è segnale tangibile che un’altra economia per la montagna è possibile.
L’alternativa offerta dall’industria dello sci sta sempre più assumendo ormai solo i contorni di un ricatto attuato da chi (e sono i soliti pochi) ha grandi capitali e interessi economici ai danni di chi, primi tra gli altri, vive il territorio e non avendo mai visto o ricevuto proposte e progetti alternativi a quel modello di economia teme che senza non possa esserci futuro per lui e la sua famiglia (ma sarebbe meglio dire solo per lui, perchè in barba al politically correct vorrei dirgli che stando così le cose già oggi, un futuro, magari, forse, c’è per i suoi figli ma per i suoi nipoti certamente non c’è).
Un’economia per il futuro: green economy
Nelle città si avverte sempre più forte la svolta green.
Lasciate perdere le considerazioni legate a moda e greenwashing che se rientrano nella sfera economica a breve termine rientrano poco in quella del cambiamento culturale, che inevitabilmente detterà le regole di mercato a medio e lungo termine.
Potete anche non condividerlo e guardarlo con sospetto ma il Friday for future ha portato in strada ancora il mese scorso un sacco di persone.
Le scuole stanno facendo un grande lavoro, l’educazione ambientale è nei programmi ministeriali.
La grande distribuzione si veste sempre più di verde.
Il mercato automobilistico ormai è votato solo verso la conversione elettrica.
Questo e moltissimo altro: in futuro sarà sempre più esigenza di chi vuole proporsi sul mercato assecondare questa inevitabile svolta se vuole far parte dell’offerta.
Poi ci sono i cambiamenti climatici. Gli scienziati sono concordi (dagli anni ’80?) sul darci orizzonti che se vedessimo anche lontanamente realizzati di fatto garantirebbero che l’industria dello sci durerà ove possibile massimo altri 50 anni. Poi anche lì morirà inesorabilmente, facendo i conti con costi economici e ambientali che lieviteranno per innevare e con un’utenza sempre meno disposta (quando cambiamento culturale sarà, anche molto meno interessata) a spendere in skypass.
50 anni per la fine del carosello intero non sono un arco temporale così a lungo termine, almeno per chi ha una focale sulla vita che comprende anche solo la presenza di figli.
Il cambiamento è in atto, stando così le cose l’adattamento dovrebbe essere naturale e nell’ordine delle cose.
E invece pare di no se si parla esclusivamente di impianti anzichè parlare di “ristori” e possibilità di far funzionare almeno la Montagna.
Più volte ho ripetuto come Covid sia un’opportunità, un’opportunità su diversi fronti, in questo caso per ridisegnare il modello economico su valori più a misura d’uomo.
Lo stare in natura fa parte di questi valori. Sempre più persone lo stanno riscoprendo: penso a questa estate o al trend dell’escursionismo, anche invernale, negli ultimi 20 anni.
Diceva bene Zeo ieri sera: “Non dobbiamo dimenticare il perchè, quello che sta alla base del nostro andare in montagna. Lo facciamo per stare in natura”. Non per sport, anche se molti ne emulano gli atteggiamenti pochissimi tra noi hanno un contratto da pro. Ego, tanti si, ma fanno foto di merda e probabilmente portano a casa solo quelle insieme a tutto lo stress, che era l’unica cosa che dovevano e potevano lasciare lungo i sentieri.
Ogni volta che esco con qualcuno certo di spiegarlo (non so se riesco a trasmetterlo, ci spero): “Prendetevi del tempo per voi stessi. Siamo qui per stare, in montagna. Lasciate da parte almeno per oggi quelle ottiche formate da sport e turismo. Poi a farvi incontrare quanto meno ci provo io”.
Lo stare in natura con gli occhi del bambino, quello è lo spirito originario, che un po’ tutti dovremmo recuperare. Il “dove” non importa, importa il “come”. Nel gioco si ritrova tutto: sfida, avventura, rispetto, piacere del tempo trascorso, del “giocare con gli altri”, non ci sono filtri, non ci sono obbiettivi, non ci sono fini.
Stare, in natura. Stare mi sembra una prospettiva allettante anche in termini economici per chi vive di quel famoso indotto. Ma natura dev’essere, se no quale sarebbe la differenza con uno skydome a Dubai?
Il messaggio che la vita sta lanciando mi pare chiaro, “se non viene recepito sarà la vita stessa a ripeterlo per farcelo comprendere”.