Sfirio si stabilì in cima al Legnoncino
Sul Legnoncino, oggi saliamo in cima al fratellino del Legnone. Punto d’osservazione sull’alto Lario, sul pian di Spagna e sulla penisola di Piona.
Alcune settimane fa ci siamo fermati ad Artesso, e via rifugio Bellano siamo saliti fino alla località Roccoli Lorla seguendo tutta la linea Cadorna. Splendidi scorci sul lago di Como ci hanno accompagnati fino alla “bolla” che segna un po’ il termine di quell’escursione. Da qui oggi ripartiamo, dal parcheggio dei Roccoli Lorla, punto di partenza per le ascese al Legnone ma anche al suo fratello più piccolo, il Legnoncino. Facile e piacevole gita, che si può unire a quella precedente se si vuole raggiungere anche una cima. In questo caso i tempi ed il dislivello raddoppiano. Nessuna difficoltà fino alla chiesa che si trova a pochi metri dalla vetta, ultimi metri che invece invece dovrete valutare voi, a seconda dell’abitudine che hanno i vostri figli.
Il sentiero che seguiamo è una delle opere lasciate in eredità dai soldati che hanno realizzato all’inizio del secolo scorso la Linea di difesa frontiera nord. Si tratta di una strada militare che mai con grosse pendenze taglia il versante del Legnoncino fino alla chiesa intitolata a San Sfirio, dove c’è una postazione in caverna che ospitava un cannone. Da qui alla vetta sono poche decine di metri, questa volta su sentiero, comunque non impegnativo.
Quello che troviamo in questa escursione è un altro pezzo di storia legato alla Grande Guerra, scorci bellissimi sull’alto Lario, con una balconata attrezzata di tavoli e panchine poco sotto la chiesa di San Sfirio, un bel lariceto che ci farà ombra per quasi tutta la camminata.
Arrivati a San Sfirio la postazione del cannone, in caverna, ed un po’ di folklore, con la storia legata al santo cui è dedicato l’edificio sacro: uno dei Sette Fratelli.
ACCESSO: arriviamo al parcheggio dopo aver lasciato la Milano – Lecco (sp 36) all’uscita di Dervio. Da qui si risale la val varrone fino a Tremenico, dove si trova l’indicazione per il rifugio Roccoli Lorla che ci manda a sinistra. La strada si fa ora più stretta, finisce ad un piazzale sterrato. Pochi metri prima del piazzale sterrato (diversi “piani” per il parcheggio) sulla sinistra si può vedere la carrozzabile che dobbiamo seguire fino ad arrivare quasi in cima al Legnoncino.
DURATA: 1H30M
DISLIVELLO: 250 mt (1473-1714)
DIFFICOLTA’: T fino alla chiesa di San Sfirio. Poi E per i pochi metri che ci separano dalla vetta
ETA’: 3+
NOTE: acqua (fontana) solo al parcheggio
I Sette Fratelli. Questa è una delle leggende più diffuse dell’arco alpino (ma un massiccio dei Sette Fratelli lo si trova anche in Sardegna nella zona di Villasimius, anche se qui la leggenda differisce un po’ da quelle alpine, ed ai tempi in cui il firmamento era vuota racconta l’origine della Via Lattea e della costellazione dell’Orsa Maggiore), in diverse versioni, ma tutte abbastanza simili tra loro. Questa è la versione come era, o che so io, o come piace a me.
C’era in una baita una madre con sette figli maschi. Vivevano in estrema povertà. L’umore della donna, affranta e preoccupata per quel che le avrebbe riservato l’avvenire, in difficoltà com’era nel dare da mangiare ai sui bimbi, era l’opposto di quello dei piccoli, vivaci e terribili, incapaci di star quieti un minuto. La donna un giorno stava tarando la polenta sul fuoco quando perse la pazienza, si mise ad urlare contro i sette figli e ordinò loro di sparire dalla sua vista. I bambini “rimasero”, ma compresero la fatica e la sofferenza della madre. La consapevolezza crebbe con l’età, ed i Sette decisero di disperdersi in montagna, ognuno divenne eremita, e si stabilì su una cima, in postazioni visibili l’una con l’altra. Ogni sera accendevano un fuoco, così che i fratelli sapessero che tutto andava bene. Passarono gli anni e i fuochi iniziarono a spegnersi. Per ogni fuoco che si spegneva però una stella si accendeva in cielo.
Una matrice più cattolica di questa leggenda vuole che i sette fratelli eremiti siano stati mandati nel Lario da (Sant) Ambrogio vescovo di Milano per evangelizzare una popolazione che però non li accolse a braccia aperte, costringendoli a scappare sulle montagne. Qui trascorrevano il tempo pregando e meditando, accendendo un falò ogni sera per salutarsi. Le genti del Lario non cambiavano atteggiamento nei confronti dei sette eremiti e Dio, adirato, li punì con quaranta giorni di carestia. Risparmiò solo le grotte in cui vivevano gli eremiti. La quarantesima notte la popolazione in ginocchio scorse dei grandi fuochi provenire dalle grotte dei Sette. La mattina dopo li scoprirono morti. La carestia era cessata ed arrivata la pioggia. I fratelli si erano sacrificati per la loro salvezza. Sette chiese vennero erette in loro memoria nei sette luoghi che li ospitarono.